C’è bisogno quindi di un profondo ripensamento, che ricollochi la politica nel luogo in cui da sempre dovrebbe stare, nelle piazze, cioè tra la gente. La ricostruzione dei partiti passa contemporaneamente dalla classe politica e dal popolo. I primi devono tornare ad ascoltare la gente, con voglia di fare e la concretezza di saper risolvere i veri problemi. Un politica meno dogmatica e carrierista, più pragmatica e popolare. La gente dal canto suo deve tornare a far sentire la sua voce, in modo forte e chiaro, deve riprendere coscienza di non essere una insieme di singoli individui allo sbando, ma una comunità che condivide un esperienza costituente collettiva. Dalla cui unità si determina la sopravvivenza o meno della nostra civiltà.
È un tempo proficuo anche perché si sviluppi un dialogo costruttivo tra Maggioranza e Opposizione per aprire davvero una grande stagione riformista. Bisogna, con il concorso di tutti, mettere in campo le riforme di cui il paese necessità: Giustizia, Scuola, Infrastrutture, Istituzioni sono solo alcuni dei temi importanti da affrontare, per non far morire il nostro Paese di soffocamento.
In tutto ciò bisogna uscire dall’individualismo, dismettere gli arroccamenti sulle singole rendite di potere, in una parole tentare di costruire e unire (gettando ponti) più che dividere e distruggere, per sviluppare un dialogo capace finalmente di promuovere il bene di tutti. Questa non è solo una speranza, ma una necessità. Se la gente non tornerà presto ad avvertire la politica come qualcosa di importante per la sua vita, arte costruttiva attraverso cui esprimere la propria idea di società, allora essa sarà scaricata definitivamente dalle persone. Con la drammatica conseguenza che la nostra civiltà morirà per abbandono o si rinchiuderà in un autoritarismo violento senza precedenti.
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