Torniamo ad occuparci di finanza locale e della presenza di un burattinaio che nell'ombra muove i fili delle amministrazioni locali (leggi la versione ridotta)
Come
già annunciato nello scorso articolo abbiamo superato la parte più noiosa della
trattazione ed ora ci attendono tempi decisamente migliori. Se da una parte è
abbastanza chiaro a tutti dove lo Stato prenda i suoi fondi (dai cittadini, con
sistemi d’imposizione più o meno sofisticati), molto più oscuro è capire come e
dove questi soldi vengano poi spesi. Qui si apre una discussione abbastanza
interessante sui compiti dello Stato (o in generale dell’Amministrazione
Pubblica). Uno dei padri del pensiero economico A.Smith (nel 1776) sosteneva
che lo Stato doveva occuparsi di 3 funzioni principali: sicurezza interna
(polizia) ed esterna (esercito), amministrazione della Giustizia e tutte quelle
opere e quelle istituzioni pubbliche che l’iniziativa dei privati da sola non
riesca a realizzare. A questi compiti “minimali”, nel corso degli ultimi due
secoli, se ne sono aggiunti molti altri: istruzione, sanità, assistenza e
previdenza sociale, tutela ambientale, promozione e sviluppo economico… va da
sé che maggiori sono i compiti che vengono affidati allo Stato, quindi maggiore
è il suo intervento, maggiori saranno anche le spese e conseguentemente il
prelievo fiscale.
Un
altro concetto basilare che credo di dover segnalare (e tornerà utile più
avanti) è una distinzione più di taglio “aziendale” tra spese di struttura e
spese politiche, questo riguarda trasversalmente le categorie elencate la
scorsa volta.
Le
prime sono quelle spese in gran parte fisse o semifisse che derivano
dall’assetto che viene dato, in questo caso, alla macchina pubblica. Esse non
si modificano in fretta o facilmente. Le seconde derivano invece da scelte
precise fatte da un’amministrazione e riguardano appunto la politica, quindi la
gestione effettiva in un orizzonte di tempo medio. Facciamo qualche esempio per
chiarire. Una spesa di struttura è data dal personale , una volta assunti io
devo pagare i miei dipendenti, anche nel caso non lavorino. Oppure il
riscaldamento, è vero che qui potrei
regolare la temperatura o usare altri piccoli accorgimenti, è anche vero però
che se io ho un certo numero di stanze da scaldare ed un certa efficienza
dell’impianto, a meno di interventi radicali di ristrutturazione o scelte di
lasciare al freddo alcune stanze, la mia spesa sarà abbastanza fissa.
Diversamente le spese politiche dipendono da tutte le scelte che noi compiamo:
la formazione (lo studio ad esempio), il fare o meno una campagna di
prevenzione o incentivo, il favorire la cultura, l’istruzione, lo sport,
l’assistenza o il contributo dato alle nostre associazioni.
Si
segnala che nella realtà la divisione non è così netta ed esistono voci di
spesa con una base di struttura ed una parte poi “politica”.
Torniamo
ad occuparci di finanza pubblica. Come avevo promesso ci attendono tempi
migliori dopo le noiose distinzioni della scorsa volta. Chiedo però ancora un
attimo di pazienza per presentare un’ultima classificazione, utile per
completare il quadro di riferimento generale (ci servirà più avanti). Si tratta
di quella tra spese di struttura e spese politiche. Le prime riguardano quelle
spese che servono per far funzionare la macchina pubblica (personale, impianti,
illuminazione), sono più rigide e richiedono tempi maggiori per essere
modificate. Le spese politiche derivano invece da scelte precise di carattere
appunto “politico”, sono più variabili e possono essere ampliate o ridotte
rapidamente. Esse sono ad esempio: fondi per assistenza, scuola, cultura,
sport... La distinzione tra le due categorie può non essere sempre netta e
precisa.
Veniamo
ora a svelare la presenza sulla scena della finanza locale di un oscuro
burattinaio sconosciuto ai più, ma che nel segreto manovra e gestisce il
destino delle amministrazioni locali. Si tratta del PSI (Patto di Stabilità
Interno) di derivazione europea. In sede europea l’Italia (come molti altri
Stati) si è assunta l’impegno di ridurre il suo debito pubblico (per ragioni
economiche, monetarie e forse strategiche). Per moltissimi anni il nostro paese
ha infatti speso più di quello che incassava con le imposte (anche per la spesa
corrente!) finanziandosi tramite l’emissione di debito pubblico (Titoli di
Stato). Seppur avallata da molti teorici questa insana pratica (soprattutto
perché smodata) non si curava di due realtà basilari: in primo luogo, che prima
o poi i debiti vanno pagati. In secondo luogo nessuno si è mai curato di
indagare chi ci prestasse questi soldi e a quali condizioni. La recente crisi
dei debiti nazionali europei (dire sovrani è improprio) deriva da una questione
semplicissima, ossia la paura che il nostro paese non fosse in grado di
rimborsare i propri debiti. Questo ha spinto i nostri finanziatori o a non
prestarci più i soldi o a farlo ad interessi più alti.
L’operazione
di riduzione del debito si può articolare sostanzialmente nel dover
risparmiare, cioè nell’accumulare risorse per ripagare i debiti. Lo Stato lo fa
da una parte aumentando le sue entrate (imposte) e dall’altro riducendo le sue
spese (tagliando i servizi). Questo genera
un “avanzo” da impiegare per ripagare il debito. Negli ultimi anni è
accaduto appunto questo, si sono aumentate le imposte e in cambio non sono
arrivati nuovi servizi (come sarebbe auspicabile), anzi si è assistito spesso
ad un taglio di questi ultimi. (la situazione dell’Italia è poi complicata
dalla mancata crescita del PIL da 10 anni a questa parte)
Un
dettaglio non da poco è che in un periodo di crisi le entrate dello Stato già si
riducono automaticamente (è un fenomeno noto come “stabilizzatori automatici”
del bilancio pubblico). Le imposte essendo calcolate progressivamente sul
reddito, si riducono in rapporto alla diminuzione dello stesso. (aliquota
fiscale del 20%, io guardano 1000 pago 200, guadagno 800 pago 160). A livello
aggregato se molte persone perdono il lavoro, non pagano più le tasse che
pagavano in precedenza. Vi è poi da segnalare il curioso caso dell’Italia,
ossia il fatto che da 10 anni a questa parte il nostro PIL non cresce. Non si
vuole aprire qui una trattazione che potrebbe essere lunghissima. Basti dire
che è un cattivo segnale che complica le cose. Immaginate di dover pagare ogni
mese 250 € con uno stipendio di 800 €, fareste fatica, ma se ogni mese il
vostro reddito aumentasse, 810, 820, 830… un bell’aiuto, basta ribaltare questo
ragionamento sul PIL che è il “reddito” della nazione e capirete perché la sua
mancata crescita è assai preoccupante.
In
tutto questo arriva il famoso PSI. Semplificando parecchio agli Enti locali
sono stati imposti alcuni vincoli sulla spesa e un obiettivo: un certo
quantitativo di cassa a fine anno. Questa cassa andrà impiegata per ripagare i
debiti. Detto così sembra facile, ma ciò ha alcune conseguenze molto
interessanti.
Innanzitutto
per avere della cassa a fine anno le spese devono essere inferiori alle
entrate. Significa che a fronte di un certo quantitativo di imposte il
cittadino si vedrà restituire in servizi una cifra minore (!). bisogna
ammettere che da una parte il PSI ha avuto il merito di mettere un po’ di
rigore in una finanza pubblica sregolata. È poi legittimo che lo Stato, essendo
formato da più organi o membra (come il corpo umano) chieda il contributo di
tutti per il raggiungimento dei suoi obiettivi (specie in periodi di “guerra
finanziaria”). Il problema è stato l’applicazione pratica di questo strumento.
Per cui ogni anno agli Enti Locali da un lato è chiesto di risparmiare sempre
di più e dall’altro lo Stato riduce sempre di più i trasferimenti per
rispettare il Patto di Stabilità a livello europeo (l’effetto è qui doppio, io
ti chiedo di risparmiare di più con uno stipendio minore). Inoltre per quanto
sia opportuno ridurre il debito, in molti casi gli Enti locali hanno un debito
sostenibile, ossia che si riesce a pagare senza eccessivi problemi. Da qui la
denuncia di molti amministratori locali che hanno le casse piene, ma non
possono spendere questi soldi per rispondere alle sempre maggiori richieste di
aiuto delle persone, specie in ambito sociale.
Altra
singolarità di questo strumento è che le sue regole e i suoi parametri cambiano
in continuazione. A volte sembra quasi che a chi risparmia di più, l’anno
seguente si chiede di risparmiare ancora di più (un giorno arriveremo a 0?).
Per chi poi “sfora” il patto ci sono varie sanzioni, la più blanda è un taglio
dello stipendio degli amministratori, le più gravi riguardano il taglio
ulteriore dei trasferimenti e altri divieti. Conseguenze insomma assolutamente
non secondarie per chi volesse fare il furbo.
Da
ultimo si segnala che le spese che possono essere “compresse” nel tentativo di
risparmiare sono, purtroppo, le spese politiche e non quelle di struttura. Per
toccare le seconde ci vorrebbe (oltre che gli strumenti che lo Stato non dà)
molto più tempo. Assistiamo dunque al taglio di spese quali assistenza,
istruzioni, cultura, sport… Insomma le più necessarie durante una crisi e che
andrebbero espanse in effetto anticiclico. (ossia per contrastare gli effetti
della crisi) Ad avviso di chi scrive le varie misure di austerità (un po’
teorica in Italia più che pratica) in questo frangente non aiuta a migliorare
la situazione, hanno anzi un effetto pro ciclico rispetto alla crisi economica.
Ossia le misure di austerità non aiutano ad uscire dalla crisi anzi la
peggiorano.
Tiriamo
ora le conclusioni di questo lungo ragionamento. Seppur teoricamente il PSI,
anche in ottica di coordinamento, sia un ottimo strumento la sua applicazione
si è rivelata quasi vessatoria degli Enti Locali. Di fatto, riducendo di molto
la capacità di spesa e lo spazio di manovra, essi hanno le mani legate contro
la crisi e si sono visti quasi azzerare la tanto paventata “autonomia” o “federalismo”
proclamato anche dalla riforme costituzionali del 2001. Infine inizia a sorgere
la domanda su quale sia il ruolo della politica locale, un mero esercizio
ragionieristico di quadratura dei conti oppure una gestione di prossimità della
cosa pubblica orientata alla promozione del bene comune?
Mauro
Andreoli, Consigliere Delegato alla Spending Review
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