Quali le vie d'uscita da una crisi che appare sempre più come infinita
Il
nostro lungo e complesso viaggio nel mondo della finanza locale volge oramai al
suo termine. Finora abbiamo esplorato il territorio, capito le regole del
gioco, le sue dinamiche fondamentali e i legami nascosti che collegano il
particolare al generale. In altre parole abbiamo genericamente capito dove lo
Stato prende i suoi soldi e dove dovrebbe spenderli, abbiamo analizzato i
pesanti vincoli nazionali ed europei che condizionano gli Enti Locali e abbiamo
infine visto i problemi più diffusi che affliggono le pubbliche amministrazioni
(inefficienza, iperburocratizzazione...). Molti mi hanno rimproverato questo
lungo peregrinare, ma credo fermamente che sia necessario mettere tutti in
grado di capire, almeno a grandi linee, cosa sta accadendo. Così che nessuno
possa essere ingannato dalle solite chiacchiere dei politici di turno (vecchi o
nuovi) oppure confuso dai mirabolanti paroloni ripetuti come mantra dai TG, il
cui significato è spesso oscuro anche a
chi li pronuncia.
Grazie
a tutto il lavoro fatto finora sappiamo dove siamo, possiamo ora dunque capire
dove dobbiamo andare o più semplicemente tentare di rispondere alla domanda: ma
come si esce dal tunnel della crisi?!? Non esistono ricette preconfezionate o
almeno chi scrive non è in grado di darne. Credo però che la necessità primaria
sia quella di far ripartire l'economia e creare così ricchezza e lavoro. Per
farlo occorre dare un po' di ossigeno a famiglie ed imprese riducendo il macigno
che da sempre le soffoca: uno Stato con una burocrazia opprimente ed una
tassazione a livelli quasi criminogeni (la
pressione fiscale effettiva è al 54% del PIL). Per abbassare le imposte, senza
creare debito, dobbiamo però ridurre la spesa pubblica. Questo non può essere
fatto tirando sforbiciate a casaccio, ma deve inserirsi in un processo complessivo di revisione generale
dello Stato, dei suoi sistemi di intervento e modalità di funzionamento.
Eliminando sprechi assurdi e privilegi abnormi acquisiti senza merito. Dando
più spazio magari, ove possibile e con apposite modalità, al mercato, ai
privati e agli Enti non profit (strutture che operano bene e con un più alto
grado d'efficienza). Smettendo, al contempo, di vessare cittadini ed imprese
con burocrazia inutile e costosa. La struttura della Stato oramai non presenta
più qualche crepa che si può chiudere con un po' di stucco, ma gravi danni
strutturali che richiedono una grande opera di ristrutturazione. Fatto questo
bisognerebbe tentare di ristabilire l'equità sociale (termine un po' forviante,
ma che rende l'idea) ossia che ad ognuno venga chiesto di contribuire al finanziamento
dell'apparato pubblico solo entro le sue reali possibilità. Questo non va
vissuto però come una sorta di “vendetta sociale” (come il comunismo concepiva
la redistribuzione), ma come una equilibrata redistribuzione del peso da
portare, con un attenzione particolare a chi fa più fatica. (questo anche
attraverso iniziative positive e non solo negative. Ad esempio che fine ha
fatto il quoziente familiare?).
Diamo
ora qualche informazione generale sul nostro Ente locale, per scendere, nel
prossimo articolo, più nel dettaglio. Il nostro Comune ha una spesa corrente
(senza investimenti e rimborso prestiti) di oltre 9 milioni di euro. Di questi
il 48 % se ne va in spese di struttura così ripartite: il 25% (di 9 milioni)
riguarda il personale, il 6% le spese energetiche, un altro 7% il funzionamento
degli uffici e altre spese obbligatorie e un ultimo 10 % le varie gestioni
(finanziaria, manutenzioni...). Su questo agglomerato è più complesso operare
perché richiederebbe interventi strutturali. Vi sono poi le spese legate a vari
settori quali la pubblica istruzione, il sociale, verde pubblico ecc... che
assorbono il 16,2 % della spesa (siamo al 64,2% totale). Esse sono mediamente
rigide, ma toccano settori "strategici" e bisogna dunque ben
ponderare eventuali interventi. Il nostro Comune trasferisce poi all'Unione dei
Comuni (per i vigili) un altro 8,5%, qui bisognerebbe indagare quale sia la
contro partita a fronte di questo ingente trasferimento. Vi sono poi due voci
particolari ossia le spese legate alla TARSU (gestione rifiuti, pulizia
strade...) che ammontano ad un milione e mezzo di € quindi al 16,5% del totale,
ma sono quasi interamente coperte dall'apposita tassa (una cifra comunque
ragguardevole che dovrebbe far riflettere). Vi sono poi i servizi a domanda
individuale (palestre, asilo nido, mensa e trasporto scolastico) che rappresentano
il 9,3% della spesa corrente, essi sono coperti da alcune entrate specifiche
(rette, buoni pasto...) non però totalmente e creano dunque un disavanzo di 350
mila € annuo da coprire con le entrate generali. Il solo asilo nido comunale,
nonostante le rette, crea ogni anno una perdita di 180 mila € per poco più di 40
utenti. Infine il costo diretto della politica ammonta al 1,5% della spesa
corrente, pari dunque a 135 mila €.
Prima
di chiudere un piccola riflessione. Quelli trattati finora sono solo gli aspetti
tecnici della vicenda. Essi possono dare il loro contributo, anche autorevole,
ma non la soluzione definitiva per uscire dalla crisi. Per trovare la via
d'uscita vi è bisogno di un grande rinnovamento della politica (e della
cultura) che deve tornare a mettere al centro del suo agire l'uomo. I saldi di
bilancio sono importanti, ma mai quanto le persone. Questo dovremmo ricordarlo
più spesso, perché è l'economia ad essere al servizio dell'uomo e non
viceversa.
Mauro Andreoli.
Capogruppo e
Consigliere delegato alla Spending Review
pubblicato su Il
Lonatese n. 31 marzo 2014